È, forse, uno dei frutti più importanti del recente vertice di Astana, ossia il summit organizzato da Russia, Iran e Turchia sulla Siria, così come al contempo rappresenta uno dei fattori meno prevedibili nei giorni immediatamente successivi agli incontri tenuti nella capitale kazaka: il riferimento è agli scontri che, in queste ore, stanno insanguinando la provincia di Idlib e che hanno come protagonisti alcuni gruppi ex alleati della galassia jihadista presente all’interno del conflitto siriano. Gli scontri stanno avendo luogo nella provincia che rappresenta una vera roccaforte jihadista in Siria, tanto da essere riconosciuta dagli stessi terroristi come un ‘piccolo emirato’ posto poco più a sud di Aleppo; ma adesso, tra le sigle islamiste, è guerra aperta per il controllo del territorio e per attuare vendette trasversali che hanno lo scopo di indebolire il campo avversario, adesso non più rappresentato solamente dall’esercito di Assad.
Il ruolo dei colloqui di Astana nell’inizio degli scontri
Nella provincia di Idlib, sono presenti decine di sigle terroriste formatesi soprattutto nell’estate del 2012, quando dalla Turchia migliaia di jihadisti sono penetrati dalle frontiere a nord e ad ovest di Aleppo contribuendo alla degenerazione armata di quella che fino ad allora era ancora soprannominata ‘primavera siriana’; adesso, di fatto, la ‘galassia jihadista’ presente ad Idlib è raggruppata sotto due grandi nomi: da un lato Arhar Sham, dall’altro Tahrir al Sham. All’interno del primo gruppo, si sono radunate le sigle islamiste che hanno accettato la tregua di dicembre sotto la supervisione di Russia e Turchia ed hanno inviato propri delegati ad Astana; sull’altro fonte invece, Tahrir al Sham indica il nuovo nome degli affiliati al gruppo terroristico di Al Nusra, filiale di Al Qaeda in Siria, che già a luglio aveva annunciato di aver mutato la propria denominazione in Fateh Al Sham. A capo di quest’ultimo gruppo, viene riconosciuto come leader il temuto terrorista aleppino Hashem al – Sheikh.
Appare evidente quindi che, la partecipazione al vertice di Astana di alcune sigle finanziate dalla Turchia, ha creato una profonda spaccatura interna agli islamisti di Idlib; non è un caso che i primi veri scontri siano iniziati subito dopo la chiusura dei colloqui in Kazakistan, con gli ex di Al Nusra che hanno cercato di prendere l’iniziativa ai danni degli islamisti filo turchi togliendo loro alcune basi e strappando non poche località. Da qui, è iniziata una spirale di violenza che in pochi giorni ha lasciato sul campo centinaia di uomini, sia da una parte che dall’altra: solo nella giornata di lunedì, a causa degli scontri tra Tahrir al Sham e Jund Al-Aqsa (ex alleata di Al Nusra e sospettata di essere molto vicina all’ISIS), sono morti circa 70 combattenti; vengono inoltre segnalati, sia a nord di Hama che ad Idlib, fucilazioni ed esecuzioni sommarie in entrambi i versanti in lotta.
Uno scontro tra Ankara e Riyadh sullo sfondo?
Il conflitto in Siria è, sin dal suo inizio, una mera guerra per procura: le parti sul campo, vengono finanziate da altri attori internazionali per perseguire obiettivi ed interessi differenti; se fino allo scorso anno Turchia ed Arabia Saudita avevano il comune interesse di rovesciare Assad a tutti i costi, anche disgregando il paese, adesso le due più importanti potenze sunnite della regione sembrano essere entrate in un netto contrasto. Ankara, davanti alla prospettiva di una Siria divisa e di una regione autonoma curda lungo i propri confini meridionali, non vuole più il ‘regime chance’ a Damasco, preferendo quindi allinearsi con Mosca e con Teheran, nemica storica dell’Arabia Saudita; sono stati proprio i turchi a far pressione sui gruppi da loro finanziati ed armati affinché fosse siglata una tregua in modo da far partire i colloqui di Astana: dopo questa mossa, all’interno della galassia islamista si è creata un’insanabile spaccatura tra i filo turchi ed i filo sauditi e le lotte di queste ore sembrano essere nient’altro che una riproposizione sul campo della divergenza diplomatica tra Ankara e Riyadh.
Non è quindi difficile ipotizzare che le lotte interne all’opposizione islamista nella provincia di Idlib, rappresentino l’apice di una nuova guerra per procura ,questa volta tra Turchia ed Arabia Saudita: i rapporti tra i due paesi sono sempre meno stretti dopo il cambiamento di strategia di Erdogan, mentre è evidente il gran divario che si è aperto, per quanto concerne gli obiettivi futuri e gli interessi futuri, tra i due governi. I sauditi vedrebbero i turchi come veri ‘traditori’ e dunque l’ordine di attaccare il gruppo Arhar Sham potrebbe essere partito proprio da Riyadh: del resto, durante il conflitto siriano, i gruppi jihadisti raramente si sono mossi in maniera autonoma e senza render conto ai propri finanziatori.
Le conseguenze nell’andamento del conflitto
In una situazione del genere, a guardare con sempre maggiore interesse a quanto avviene presso la provincia di Idlib è certamente il governo di Damasco; dopo aver strappato Aleppo ai terroristi, l’esercito siriano approfitta degli scontri interni alla galassia jihadista per poter concentrare uomini e mezzi ad est della metropoli da poco liberata e quindi lottare con più vigore contro l’ISIS. Infatti, se entrambi i principali gruppi islamisti presenti ad Idlib concentrano in queste ore i propri maggiori sforzi in una guerra fratricida, appare chiaro come gli uomini armati dell’opposizione perdano ogni capacità d’iniziativa militare contro le truppe governative. Inoltre, guardando a medio termine, un indebolimento dei gruppi jihadisti appare elemento assai importante in vista di una futura offensiva volta a riconquistare interamente la provincia di Idlib. Dal canto suo comunque, il governo di Damasco non ha preso alcuna posizione sugli scontri in atto all’interno dell’opposizione.
L’unico ruolo che, direttamente od indirettamente, ha avuto la leadership siriana nella vicenda, riguarda i trasferimenti di miliziani dai territori riconquistati dall’esercito; tutti i soldati dell’opposizione armata presenti nelle ‘sacche’ liberate a sud di Damasco, ad Aleppo ed in altre località della Siria, sono stati trasferiti dopo gli accordi mediati da Russia e Turchia presso la provincia di Idlib. Anche se la spaccatura tra filo turchi e filo sauditi era latente da mesi, il massiccio afflusso di miliziani nella provincia roccaforte dei jihadisti, potrebbe aver accelerato processi di dissensi e dissidi interni, culminati poi negli scontri sopra descritti.
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