Una guerra “fredda” come lo fu quella tra Usa e Urss, in cui le parti in campo si lanciano accuse a distanza, tentando di sfruttare il forte peso simbolico ed il profondo significato religioso che il pellegrinaggio alla Mecca riveste per il mondo islamico.
L’hajji – il viaggio alla Mecca e Medina dei fedeli musulmani – di questo settembre, si sta trasformando in un terreno di scontro aperto tra sunniti e sciiti. I musulmani di ogni parte del globo sono pronti a festeggiare una delle loro due importanti festività, l’Eid Al-Adha, da oggi 12 settembre al 14, ma la festa è già stata in parte guastata dalle polemiche.
I due massimi esponenti delle correnti sunnita e sciita, Arabia Saudita ed Iran, stanno da mesi utilizzando l’evento per rinfocolare vecchie diatribe. Alla base di tutto, ovviamente, c’è la voglia dei giganti del petrolio di guadagnare l’egemonia sul Medioriente, specie in materia economica. Il che significa controllo del territorio, in particolare dello stretto di Hormuz, passaggio d’acqua per il quale transita il traffico di circa il 20% del petrolio mondiale e, al contempo, “controllo” delle alleanze con i grandi della terra.
Proprio di recente, l’Arabia Saudita ha storto non poco il naso di fronte all’accordo sul nucleare raggiunto tra Iran e Stati Uniti, temendo che l’antico alleato, gli Usa, inizi ad andare un po’ troppo d’accordo con l’odiato Iran. I persiani, dal canto loro, per ribadire ancora una volta il disprezzo per il nemico arabo, in vista del pellegrinaggio alla Mecca hanno contestato il sistema usato per la concessione e il diniego dei visti necessari al viaggio.
Da sempre, il Paese sciita ha dimostrato di non gradire che la gestione dei luoghi più sacri dell’Islam sia in mano all’Arabia sunnita. E proprio di recente, il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Khamenei, ha accusato le autorità saudite di non essersi assunta alcuna responsabilità per l’incidente dell’anno scorso, quando in una calca alla Mecca erano rimati uccisi circa 2300 pellegrini, di cui quasi 500 iraniani. L’Arabia, a sua volta, ha fatto volare parole grosse all’indirizzo dell’Ayatollah, attraverso il Consiglio di cooperazione del Golfo, del quale fanno parte anche Bahreïn, Emirati arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Oman, accusando l’Iran di voler politicizzare il pellegrinaggio. Insomma, un botta e risposta infinito, che ha portato l’Iran ad affermare che i suoi cittadini non parteciperanno al sacro hajji ma lo boicotteranno. Per la prima volta dal ’79, in questi giorni, i fedeli iraniani non sono presenti sui tradizionali voli. L’unica certezza è che i due Paesi contrapposti non riescono neanche più a fingere di sopportarsi reciprocamente. Le tensioni etniche e religiose non aiutano. L’Iran rivendica la modernità del suo islam sciita, accusando l’Arabia di oscurantismo. L’Arabia asserisce che quello degli iraniani non è il vero islam, e continua a spendere fior di quattrini per finanziare le scuole sunnite wahabite, promuovendo di fatto un’interpretazione letterale ed ultraconservatrice del Corano. Differenze incolmabili, che di fronte alla rivalità per il controllo del prezzo al barile del petrolio rischiano di far esplodere nuove tensioni. Soprattutto se il titolo ufficiale del monarca saudita include il ruolo di “guardiano dei due luoghi santi”, conferendogli un’autorità che l’Iran non riesce proprio a mandare giù. Così i persiani stanno a guardare, sperando che qualcosa vada storto e che ci siano nuovi “sbagli” dei sauditi sui quali far sentire la propria voce.