Per cercare di pacificare lo Yemen, gli Stati Uniti, alla fine, si sono dovuti rivolgere direttamente all’Iran.
E a farlo è stato il Segretario di Stato John Kerry lo scorso giovedì che, come riportato all’agenzia AFP, avrebbe chiesto a Teheran di “aiutare gli Stati Uniti a porre fine alla guerra in Yemen, alla guerra in Siria, non intensificando i conflitti, e cercando di cambiare le dinamiche di questa regione”. Poi Kerry ha aggiunto che l’Iran deve “deve dare prova al mondo di voler essere un membro costruttivo della comunità internazionale e contribuire alla pace e alla stabilità”.
Parole importanti quelle del Segretario di Stato americano, considerando il fatto che sono state espresse durante un incontro tra i Ministri degli Esteri del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), del quale fanno parte Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Tutti Paesi che, contrastando evidentemente con le scelte politiche di Teheran, in passato si sono schierati a favore del rovesciamento di Assad in Siria e contro la stipula dell’accordo sul nucleare 5+1, voluto anche da Washington.
L’apertura di Kerry a Teheran sulla guerra in Yemen significa molto, soprattutto in vista della riapertura dei negoziati di pace sulla crisi yemenita, voluta dall’Onu, prevista per il prossimo 18 aprile. Negoziati che risulteranno fondamentali in seguito al fallimento della mediazione per risolvere il conflitto in Yemen dello scorso dicembre a Ginevra.
Ed attualmente, facendo riferimento a quanto riportano le maggiori agenzie di stampa internazionali, la situazione in Yemen risulterebbe altamente instabile. E’ passato circa un anno da quando Riad, a capo di una coalizione anti-sciita, ha iniziato i raid contro le milizie degli Houti per ricondurre al potere le forze lealiste filo-saudite e arginare l’avanzata sciita. Eppure la situazione sembra tutt’altro favorevole per il re saudita Salman. Infatti gli Houti ad oggi controllerebbero otto delle ventidue provincie yemenite, e starebbero continuando la loro avanzata verso sud, in direzione della strategica città di Taiz.
Ma in Yemen non si combatte solo una guerra regionale, finalizzata al controllo più o meno diretto della penisola che si affaccia nel Golfo di Aden. In Yemen si sta combattendo una guerra tutta interna all’Islam, tra confessioni, tra sciisimo e sunnismo. O meglio un interpretazione del sunnismo. E il conflitto vede protagonisti indiretti Arabia Saudita e Iran. Che si sfidano sia sul campo diplomatico che quello militare. E se Riad è pronta a sostenere il vecchio governo di San’a e con esso i sunniti salafiti, Teheran si è schierata evidentemente a favore degli sciiti Houti.
Non a caso i primi scontri, che sfociarono poi nel conflitto armato, nacquero nell’ottobre del 2014 proprio nella scuola coranica salafita “Dar al-Hadith”, attiva dagli anni Ottanta (oggi ospiterebbe tra i 7 mila e i 10 mila studenti, una parte dei quali stranieri), e ritenuta dalle milizie sciite il luogo di indottrinamento e proliferazione del fondamentalismo salafita della città di Damaj, sostenuto in maniera più o meno indiretta dall’Arabia Saudita.
E anche se Kerry ha mostrato una lieve apertura nei confronti di Teheran sul conflitto yemenita, Washington non ha mai smesso di accusare l’Iran di sostenere quelli che oltreoceano sono i “rebelli sciiti”. E lo dimostra la diffusione di una nota della Marina Militare USA qualche giorno fa che dichiarava il sequestro, da parte delle forze navali internazionali lo scorso 28 marzo nel Mar Arabico, di un carico illecito di armi che sarebbe partito dall’Iran verso lo Yemen.