Mohammed bin Salman, principe dell’Arabia Saudita ed erede al trono di Casa Saud, avrebbe confidato a due ex funzionari americani per il Medio Oriente l’intenzione di attivarsi per far uscire Riad dalla guerra in Yemen sarebbe d’accordo con Washington sulla necessità di aprire di nuovo un canale di dialogo con Teheran. Questo è quanto emerge dalle mail trafugate dal gruppo hacker “Global Leaks” e diffuse dal sito Middle East Eye, testata bloccata in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per via della censura di Stato. Secondo quanto si evince dalle conversazioni fra Martin Indyk, ex ambasciatore americano in Israele, e Youssef Otaiba, ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti a Washington, il principe saudita avrebbe discusso ad aprile di queste sue decisioni con lo stesso Indyk e con Stephen Hadley, ex consigliere americano per la sicurezza nazionale.
Nello scambio di mail di cui è entrata in possesso la testata online, si fa riferimento al pricnipe ereditario saudita come di un personaggio in grado di segnare un profondo cambiamento nelle politiche dell’Arabia, sia rispetto all’uso predecessore sia rispetto alle politiche, in generale della storia di Riad. Un pragmatismo, quello di Mohammed bin Salman che andrebbe a ridefinire la posizione dei sauditi sul tema cruciale della stabilità del Medio Oriente, e cioè il rapporto fra Arabia Saudita ed Iran. “È stato abbastanza chiaro con Steve Hadley e con me sul fatto che vuole tirarsi fuori dallo Yemen” si legge nella conversazione del 20 aprile tra Indyk e Otaiba, “e che è d’accordo con gli Stati Uniti a dialogare con l’Iran nella misura in cui (il dialogo) sia coordinato e gli obiettivi siano chiari”. “Non credo che vedremo un leader più pragmatico in quel Paese. Che è il motivo per cui dialogare con loro è così importante”, risponde poi Otaiba.
Le mail assumono un potenziale esplosivo nell’interpretazione della geopolitica del Medio Oriente. La guerra in Yemen, proxy-war fra Iran e Arabia, è una guerra che sta devastando la popolazione yemenita e in cui i sauditi hanno investito tantissimo sia in termini di denaro, sia in termini di uomini impiegati nel conflitto, sia soprattutto per quanto riguarda la credibilità all’estero come potenza regionale. La guerra si è trasformata in un conflitto logorante, in cui la popolazione civile è stremata da bombardamenti incessanti e dalla peggiore epidemia di colera degli ultimi anni, che avrebbe già colpito almeno mezzo milione d abitanti. I morti avrebbero già superato i 10mila solo per i bombardamenti, e 40mila le persone rimaste gravemente ferite. Il principe saudita è stato uno dei più importanti promotori dell’impegno di Riad nella guerra in Yemen, e quindi la sua volontà di ridefinire il ruolo saudita anche con una fine del conflitto, appare come dirompente nel panorama geopolitico regionale e mondiale e dimostra come il futuro sia tuttaltro che chiaro, allo stato attuale.
Naturalmente, il potenziale nuovo assetto della guerra in Yemen è l’anticamera di un accordo a largo spettro proprio con la Repubblica Islamica dell’Iran. Dalla guerra in Siria, al Daesh, allo Yemen fino al blocco contro il Qatar, tutti gli scenari di crisi del Medio Oriente rappresentano uno scontro fra Iran e Arabia Saudita, e con essa i più importanti alleati internazionali. L’eventualità di un ritiro dalla guerra in Yemen sarebbe evidentemente figlia di un accordo con Teheran per una sorta di riconciliazione su molti punti di frizione tra i due Stati, che potrebbe abbracciare la stessa situazione degli sciiti in Arabia, così come il sostegno ai ribelli siriani o la fine del blocco al Qatar o delle politiche anti-iraniane. In questo senso, non va sottovalutato, recentemente, l’avvicinamento del leader sciita iracheno Muqtada Al Sadr proprio con l’Arabia Saudita, che ha incontrato Bin Salman e ha confermato l’arrivo di dieci milioni di ollari da Riad per aiutare gli sfollati iracheni. L’incontro tra Al Sadr e Bin Salman è stato letto come uno schiaffo degli sciiti iracheni all’Iran, ma, al contempo, può essere anche considerato come un tentativo di dimostrare che lo sciismo e l’Arabia Saudita non si considerano per forza nemici. Inoltre, l’Iraq, come sostenuto anche dal ministro dell’Interno di Baghdad, Qasim al-Arraji, potrebbe essere il vero mediatore nella crisi tra Riad e Teheran: un Paese in cui l’asse sciita regge ma che allo stesso tempo necessita della collaborazione con i sauditi. Pertanto è uno degli Stati più interessati ad assistere e promuovere una riconciliazione fra la monarchia dei Saud e il Paese degli ayatollah.
Il (possibile) riavvicinamento fra Iran e Arabia Saudita dopo l’ostilità enorme degli ultimi anni pone una serie di interrogativi sul futuro del Medio Oriente. Innanzitutto, va compreso il ruolo degli Stati Uniti, partner strategico saudita e avversario dell’Iran. Nelle mail si parla di accordo con Washington per un riavvicinamento tra sauditi e iraniani, ma bisognerà poi comprendere la portata di questi obiettivi concessi dalla Casa Bianca. Altro punto fondamentale, sarà capire come le altre potenze del Golfo prenderanno questa scelta saudita. Il Qatar, naturalmente, ha tutto da guadagnare da una riconciliazione fra i due Paesi, ma potrebbe anche pagare le conseguenze di un possibile allentamento nei rapporti con Teheran. Gli Emirati, dal canto loro, sempre nelle stesse mail, dimostrano di non avere alcuna intenzione di continuare a essere considerati subalterni rispetto all’Arabia e vogliono avviare una politica che sostituisca a lungo termine Riad come potenza egemone della Penisola Arabica, e l’Iran potrebbe giocare un ruolo vista la sua presenza al di là del Golfo Persico. E se queste mail hanno un significato, sicuramente è stato quello di dimostrare che, dietro la cortina di fumo della retorica politica e religiosa, si nasconde un mondo d’interessi e di relazioni ben più complesso e molto più difficile da decifrare di quello che appare.
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